Suggestions

Arja Cajo: il digitale e la moda

Come i social e l’online hanno cambiato il linguaggio e il modo di produrre della moda? Lo abbiamo chiesto a una vera esperta, amica di Arja Cajo

Il mondo digitale, ciò che si svolge online, ormai – l’abbiamo capito – ha delle ripercussioni importanti anche nella vita reale, offline. Online ci si frequenta, ci si innamora, ci si diffama, si comprano accessori e case, si lavora, si realizzano sogni. Tutto questo senza bisogno di spostarsi dal computer o dal cellulare.

Ma è offline che ancora si produce materialmente tutto quello che poi acquistiamo. Come i capi di abbigliamento e gli accessori. Naturale chiedersi quindi come il digitale abbia influito e influenzato il mondo della moda: dal modo di produrre fino al modo di vendere.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Beatrice Ferrario, Media & Digital Advisor, dall’esperienza pluridecennale, per capirne di più e per cercare di carpire quale può essere il futuro di Arja Cajo, già presente online con un e-shop dedicato sul sito e con la pagina Facebook e quella Instagram, dove potete trovare tutte le novità.

Online e mondo della moda: quest’ultimo ha davvero bisogno del digitale?

“Ormai per vendere e farsi conoscere non si può più prescindere dall’avere un bel sito e un profilo social funzionale e funzionante: una volta una boutique affittava un negozio in Via Montenapoleone, oggi deve investire sui social. Se non li hai, non esisti. Allo stesso modo, vale la pena avere un proprio e-commerce cui rimandare la clientela a fare shopping. L’abbiamo visto durante la pandemia quanto sia importante poter rivendere online. È chiaro che poi offline, in negozio, a diretto contatto con il venditore, è possibile vivere un’esperienza, in cui viene raccontata una storia, spiegato un concept e una mission, si viene consigliati e coccolati… Ma oggi come oggi esistere online è un diktat, non più un’opzione”.

Qual è il social più gettonato per chi lavora e produce moda?

“Il settore della moda ha puntato tutto su Instagram, il social delle immagini. Per rendere in metafora, Instagram è un po’ come le vecchie riviste patinate alla Vogue: belle foto postprodotte, grafiche accattivanti, una caption cucita ad hoc… Mentre Facebook è più paragonabile a un quotidiano.

Dipende poi molto anche dal target a cui si vuole vendere: su Instagram stanno i cosiddetti Millennials, intorno ai 40 anni; su Facebook i boomers, ovvero un target più maturo, mentre su TikTok e Twitch “vive” la generazione Z, ovvero i nati a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Bisogna avere a mente il proprio target di riferimento per non sbagliare strategia e investimenti”.

A proposito di investimenti, oggi quindi non vale più la pena fare piubblicità sulle riviste cartacee?

“È cambiato proprio il concetto: prima se apparivi su Vanity Fair o Vogue, allora eri “arrivato” ed eri qualcuno, e questo automaticamente valeva come endorsement per la qualità del prodotto e la quantità di vendita. Oggi non vale più questo discorso: vale più accaparrarsi la collaborazione con il talent o l’influencer giusta per farsi conoscere. Un tempo c’erano i lettori, oggi i followers”.

Moda e ambiente: quanto l’online contribuisce positivamente a un discorso ecosostenibile in fatto di fashion?

“Di sicuro, il digitale può influire in modo positivo in questo senso: pensiamo a una realtà come Arja Cajo, che produce direct to consumer, ovvero riceve l’ordine, produce su misura e rivende. In questo modo non rimane il magazzino invenduto, con capi poi destinati al macero. In tanti big della moda, anche in questo periodo di pandemia, si sono interrogati sull’effettiva utilità dell’avere le collezioni, che si rinnovano ogni pochi mesi: i consumatori hanno davvero bisogno di tutti quegli abiti? Infine, in questo ultimo periodo, sono emerse anche altre due tendenze di cui bisognerà tenere conto: molte donne hanno cominciato a farsi il proprio guardaroba da sé, comprando la stoffa e poi cucendola, proprio come facevano le nostre nonne, mentre altre sono sempre più orientate al second hand marketplace, ovvero a rivendere sui siti come Vinted o Vestiaire Collective, i capi e gli accessori che non utilizzano più.

Le persone tenderanno ad acquistare sempre meno ma meglio, e soprattutto saranno sempre più attirate dal “one of a kind”, il pezzo unico. Per questo, Arja Cajo ha la strategia migliore”.